La mattina del 1 gennaio, giorno di Capodanno, la famiglia tipica giapponese si alza, si inginocchia e prega dinanzi all’altarino shintoista o buddista di casa; quindi si siede a tavola e comincia a sorseggiare una tazza di otoso sake. Come vuole la tradizione, l’ otoso sake viene bevuto per scacciare via ogni negatività dalla propria casa e per assicurare lunga vita a tutti i presenti. Infatti la parola stessa viene scritta utilizzando i caratteri 屠蘇 che significano rispettivamente “sconfiggere” e “spiriti maligni”. Il detto in uso dice “se una persona ne beve, nessun membro della sua famiglia si ammalerà, se tutta la famiglia ne beve, nessuno nel villaggio si ammalerà”. L’usanza di bere l’ otoso sake cominciò in Cina sotto la dinastia T’ang (618-907), e venne poi adottata nel Giappone dell’epoca Heian (794-1185) esclusivamente dal ceto aristocratico.
Poiché l’ otoso è un composto di sake unito e mescolato ad erbe medicinali, successivamente il suo utilizzo divenne di uso comune; ancora fino a pochi decenni fa esisteva l’usanza per i farmacisti di regalarne piccole quantità ai propri clienti in occasione dei festeggiamenti del Capodanno. Tradizione vuole ancora che l’ otoso venga servito in tre tazzine di differenti dimensioni, chiamate “sakazuki”: si comincia con la più piccola, che si passa tra tutti i membri della famiglia per un sorso. L’usanza varia da regione a regione, ma generalmente il più giovane inaugura la bevuta, per poi passare la tazza via via fino al più anziano. Questo fatto pure probabilmente ebbe origine in Cina, laddove i giovani lo assaggiavano per primi per controllarne una eventuale ed eccessiva tossicità, e solo successivamente lo passavano ai più anziani. In Giappone però, tranne che nelle occasioni davvero formali, è il capofamiglia che comincia a sorseggiarlo. L’ otoso sake può anche essere preparato in casa: in Giappone infatti si vendono appositamente delle confezioni in bustine. La sera della vigilia di Capodanno se ne lascia macerare una in 300 ml di sake o di mirin per circa otto ore. Al mattino l’infuso alcolico sarà pronto per essere servito a colazione per un sorso e poi per il pranzo tradizionale di Capodanno a base di oseci. E come vuole la tradizione, si brinda tutti insieme attorno al tavolo.
KANPAI!! (SALUTE)
Loredana Marmorale
Foto di copertina di Midorisyu su Flickr used under CC
Dicembre in Occidente è sinonimo di Natale, la festa religiosa per antonomasia; il Giappone ne rimane “contaminato” per il suo risvolto puramente commerciale, mentre un discorso a parte merita la celebrazione del Capodanno, di cui l’ultimo mese è il solenne preludio. Infatti in questo ultimo periodo dell’anno qualsiasi attività, facezia, la stessa attitudine emotiva del popolo tutto si predispongono all’attesa. Nella tradizione giapponese l’anno che passa è separato completamente da quello successivo: ogni lavoro, qualsiasi problematica, qualsivoglia cruccio o preoccupazione DEVONO essere lasciati indietro, così che nulla arrivi ad intaccare la “verginità” di quello che nasce. All’uopo si organizzano ovunque i boonenkai (忘年会), ovvero delle feste che “fanno dimenticare l’anno che se ne va”, le case vengono addobbate, pulite e lucidate alla perfezione; in questo modo i primi 3 giorni del nuovo anno saranno dedicati alla calma assoluta, buon auspicio per il nuovo inizio.
La tradizione non ama festeggiamenti chiassosi allo scoccare della mezzanotte; è invece costume visitare i vicini templi buddhisti che rimangono aperti per l’occasione. Si chiama joya no kane (除夜の鐘): a mezzanotte la campana in bronzo del tempio risuonerà per 108 volte; tanti rintocchi quanti sono necessari a mondarsi dei 108 desideri terreni e prepararsi rigenerati all’anno che verrà. La vigilia del Capodanno è quindi un’attesa molto solenne e silenziosa, e la tradizione culinaria si adegua all’occasione. Cosa mangiano i giapponesi nell’attesa del nuovo anno? Il piatto è invero estremamente semplice e per nulla elaborato, si chiama toshikoshi soba (年越しそば), ovvero la “soba per passare all’anno nuovo”. Le ragioni per cui proprio la soba venga mangiata alla vigilia di Capodanno sono ancora una volta simboliche: si pensa che la forma “allungata” di questi spaghetti porti fortuna, felicità e soprattutto lunga vita; inoltre si dice che proprio perché essi possono spezzarsi facilmente, così altrettanto facilmente ci si può disfare dei problemi e dei dolori dell’anno che ci lascia. Pare ci sia anche anche un’altra ragione, questa volta storica, alla base della considerazione della soba come portafortuna: nel periodo Edo gli orafi raccoglievano le scaglie d’oro e d’ argento che si depositavano un po’ dappertutto nelle loro officine dopo il lavoro con l ‘ausilio di palline di soba, che poi venivano passate a fuoco perché i metalli preziosi fondessero nuovamente.
Ad ogni modo l’esecuzione di questo piatto a base di spaghetti di grano saraceno è molto semplice per un significato davvero profondo. Come si prepara? Niente di più facile: si porta ad ebollizione l’immancabile dashi assieme a due cucchiai da minestra di salsa di soia (il sapore da ottenere deve essere piuttosto deciso), un po’ di zucchero ed un pizzico di sale. La soba viene cotta a parte in acqua non salata e quindi messa nelle ciotole a fine cottura…. poi si versa il brodo. Ultima aggiunta, dei cipollotti tagliati fini. Una variante particolarmente gustosa e “suggestiva” è detta tsukimi (月見), letteralmente “guardare la luna”, perchè al tutto si aggiunge un uovo crudo che ricorda proprio la luna piena….gusto e poesia in un piatto solo! よいお年を (Yoi o toshi wo)….e, aspettando l’anno nuovo, i nostri migliori auguri!
Quest’anno, in occasione del Capodanno, vogliamo segnalarvi una manifestazione folkloristica giapponese molto particolare, chiamata Namahage. Narra una leggenda che, durante la dinastia cinese degli Han, l’imperatore si fosse mosso dalla Cina accompagnato da cinque orchi (oni in giapponese) ed avesse invaso la penisola di Oga, nella prefettura di Akita, Tohoku (la zona nordorientale del Giappone oramai tristemente noto per il terribile cataclisma dello scorso 11 marzo). Ivi giunto l’imperatore cinese insieme con i suoi oni si era lasciato andare a ruberie di raccolti e rapimenti di giovani donne. La comunità locale, sconvolta ed impaurita, aveva quindi deciso di scendere a patti, almeno apparentemente, con gli orchi, nel seguente modo: se essi avessero costruito in una sola notte una scala di pietra di 1000 gradini per il tempio del luogo, il villaggio avrebbe donato loro tutte le donne giovani del paese. Al contrario, il fallimento dell’impresa avrebbe comportato l’immediato abbandono della zona. Gli oni acconsentirono ma, arrivati al gradino 999, udendo il canto del gallo che annunciava l’alba e convinti di aver perso, si ritirarono sulle montagne come convenuto: quindi non seppero mai che quel canto era stato un espediente che la comunità locale aveva trovato grazie al “matto” del villaggio, bravissimo nelle imitazioni… Ma anche se il villaggio si liberò della minaccia immediata degli oni, si dice altresì che da allora questi, nell’ultimo giorno dell’anno, ritornino nella zona a rinnovare le loro pretese. La tradizione giapponese legata alla sua religione naturale, lo shintoismo, prevede già una gran quantità di dei e spiriti della natura, nonché di demoni. I namahage, derivati dall’antica leggenda degli orchi e ricordati, appunto, a Capodanno, possono essere quindi appunto ascritti tra questi ultimi. Ma cosa c’entrano i demoni e la loro spaventosa presenza con il Capodanno? Pare che essi servano da rituale di purificazione delle anime, ed arriverebbero dalle montagne per redarguire tutti quelli che, durante l’anno, sono stati pigri, indolenti, scansafatiche e convincerli con strali e minacce a ritornare sulla retta via a partire dal primo giorno del nuovo anno, quindi immediatamente dal giorno successivo.
La stessa parola namahage etimologicamente deriva infatti da un termine dialettale che indica il rossore delle guance di chi suole sostare un po’ troppo accanto al kotatsu, il braciere tradizionale giapponese. Chi sedeva troppo al caldo veniva quindi riconosciuto dal colore rubizzo delle gote e ciò voleva dire troppo ozio e poco lavoro, quindi, per estensione, un danno per la comunità: i demoni servivano quindi proprio a scuotere il pigro dalla sua indolenza e a riportarlo attivamente in seno alla comunità, in linea con lo spirito fondamentale per il popolo giapponese, dove non è “chi fa da sé “ che “fa per tre”, ma l’esatto contrario. Inutile dire che questa tradizione venga ora rispettata e il rituale celebrato oramai a tutto “vantaggio” della popolazione più giovane, quindi dei bambini (ma originariamente ne erano destinatarie anche le giovani mogli che non dedicavano troppo tempo alla cura della casa e dei loro mariti!) E allora cosa accade il 31 dicembre? Tutti i giovani dei villaggi per una sera calzano spaventose maschere da demoni e costumi tipici e girano per le case a “spaventare” letteralmente i bambini; molto spesso avviene addirittura che la comunità si riunisca in apposite sale per assistere alla messinscena dei demoni che minacciano i bambini di trascinarli via con sé sulle montagne se gli giungerà notizia che sono stati pigri, svogliati a scuola, disubbidienti con i genitori, insomma dei bambini “cattivi”…. L’atteggiamento degli attori, spesso alterato dai classici fiumi di sakè che vengono loro offerti nel peregrinare di casa in casa, è talmente convincente da indurre la maggior parte dei bambini al pianto, sotto lo sguardo divertito e tra le risa dei genitori! I demoni, ad un certo punto, vengono però “convinti” dai premurosi papà a ritirarsi: essi accettano di buon grado a patto che i bambini promettano di essere buoni e di fare il loro dovere, cosa di cui si sincereranno l’anno seguente nella prossima visita di fine anno.
Sebbene la leggenda dei 999 scalini ed il suggestivo rituale dei namahage siano un fenomeno locale tipico quasi esclusivamente del nord-est del Giappone, come si è detto, attrae ogni anno sempre più visitatori, che a centinaia accorrono da tutto il paese a vedere i demoni che danzano, urlano e fanno piangere i bambini loro e quelli degli altri. Pur sembrando forse un po’ orrifico ai nostri occhi occidentali, in ogni caso è un modo diverso di intendere l’arrivo del nuovo anno, sferzante e rigenerante per lo spirito… anche per quello degli adulti, a nostro modesto parere, non solo per quello dei bambini!