IL SHOCHU, BEVANDA CHIC CHE FA FURORE

Che ne direste se vi invitassimo in una shochulounge o in un shochubar?
Forse in Italia non tutti sanno che accanto ai sakebar sono sempre più diffusi e stanno spopolando non solo in Giappone, ma anche in molte città degli Stati Uniti ed a Londra, i locali dove si degusta il shochu, la bevanda alcolica appartenente alla tradizione, che ha ormai superato in termini di consumo e gradimento il sake, da sempre considerato il signore degli alcolici.
Il fenomeno è davvero interessante, visto che fino ad una ventina di anni fa il shochu rappresentava il “cicchetto” degli anziani o dei lavoratori facenti parte delle sfere meno agiate.
Lo scenario è negli ultimi anni sensazionalmente cambiato: dai rumorosi pubs ai locali chic.
Non stupitevi dunque se al banco di uno di questi locali vi imbatterete in giovani donne impeccabilmente eleganti, che nel vostro immaginario ordinerebbero solo champagne, mentre sorseggiano proprio un bicchiere di shochu!
Ora ristoranti di stile sfoggiano la loro vasta selezione di shochu e soprattutto negli Stati Uniti troviamo persone disposte a pagare centinaia di dollari nelle aste web per assicurarsi le produzioni limitate.

L’onda del successo

All’inizio, prima del boom, veramente in pochi credevano che potesse raggiungere questo successo.
Il Shochu, pur appartenendo ad un centenaria tradizione giapponese non godeva infatti di grande fama. In Occidente, dove tutti conoscono il Sakè per averlo assaggiato, o quantomeno di nome, era sconosciuto ai più. Attualmente in Giappone, ma il fenomeno risale già al 2003, il Shochu ha imprevedibilmente superato nelle vendite proprio questa ben più celebre bevanda. Si può dire che anche grazie ad una operazione di “restyling” della sua immagine, ha conquistato una grande popolarità, diventando un vero e proprio fenomeno di tendenza.

Come viene prodotto…

Diversamente dal Saké che è prodotto mediante fermentazione, il Shochu è un distillato.
Può essere ottenuto dalla distillazione dell’orzo (Mugi), delle patate dolci (Imo), del riso (Kome), della canna da zucchero (Kokuto), del grano saraceno (Soba) ed ogni varietà conserva il gusto degli ingredienti d’origine, selezionati con cura. Ci sono sicuramente diverse ragioni che spiegano questo meritato successo. E’ certo che uno dei suoi punti di forza e distinzione, al di là delle strategie di marketing e dei fenomeni di costume, è proprio la versatilità e la capacità di evidenziare i suoi aromi primari. La singola distillazione ne preserva l’aroma, a differenza della doppia distillazione di prodotti come la vodka, a cui sono spesso aggiunti aromi dopo tale processo. Altri ingredienti utilizzati, il sesamo, le patate e le carote, il riso Thai.
Si annoverano tra i vari tipi anche il Kasutori Shochu che è prodotto con i fondi della fermentazione del Saké ed una varietà di Awamori in cui viene utilizzato il riso Thai.
Ben si comprende che con più di 3000 varietà oggi a disposizione – alcuni produttori si sono sbizzarriti lanciando sul mercato Shochu di latte, zucca, pepe verde o castagna – la bevanda attrae e soddisfa i palati più esigenti e “curiosi”. Insomma…ci sembra facile sentire profumo di successo anche in Occidente…o meglio, aroma del successo!

Un po’ di storia… sulla via del Shoshu

L’origine della bevanda non è certa.
Si pensa possa essere giunto o a Kyushu attraverso la Thailandia e Okinawa attraverso, o nell’isola di Iki dalla Corea dove era arrivato per mezzo dei Mongoli, i quali avevano a loro volta acquisito il processo di distillazione dalla Persia. Ad Okinawa il distillato è conosciuto con il nome di “Awamori”. In base alla documentazione storica in nostro possesso, il Shochu avrebbe fatto il suo ingresso quantomeno nel sedicesimo secolo. Vale la pena citare quanto scrive il missionario Francis Xavier che visitò la Prefettura di Kagoshima nel 1549. Egli racconta di una bevanda prodotta con il riso e di non aver visto alcun “ubriacone”, ciò perchè coloro ne bevevano in quantità finivano con il crollare immediatamente addormentati.

L’alcool fa la differenza… ed anche le calorie!

In Giappone, la maggioranza dei Shochu contiene il 25% di alcool, ma se ne trovano anche alcuni al 35 e al 40%.
Di norma la gradazione alcoolica è pertanto inferiore a quella della vodka, cui viene a volte impropriamente paragonato. Merita un cenno l’aspetto delle calorie. Lo Shochu apporta infatti un ridotto contenuto calorico, non contiene infatti né zucchero né sostanze adulteranti. Due porzioni da 30 ml forniscono circa 35 calorie. Ecco perché viene apprezzata anche dai più attenti alla forma fisica…

E la salute?

Il fatto che sia una bevanda a basso contenuto calorico è già un dato confortante per la nostra linea.
Ma c’è di più… Vi è infatti chi sostiene che sia, ben si intende in piccole quantità, un toccasana proprio per la nostra salute. Alcune ricerche condotte al Miyazaki Medical College hanno dimostrato che il Shochu contiene un enzima particolarmente efficace al fine di evitare le trombosi. Questo dato ha senz’altro esercitato un suggestivo richiamo nei confronti dei più attenti alla salute. Ma al di là dei risultati delle ricerche, una nota di colore ha contribuito ad accrescere la fama della bevanda…ed è il fatto che possa vantare un assai longevo quanto fervido ammiratore…. Entrato nel guinness dei primati, il signor Shigechiyo Izumi, un cittadino giapponese che ha orgogliosamente compiuto 120 anni dichiara una sviscerata passione per il shochu. Ed ecco che spuntano teorie sulla longevità…
Un ultimo cenno merita la diffusa opinione che questo tanto amato liquore non causi alcuna sindrome da dopo-sbornia…non sta a noi dire provare per credere…

Gustarlo

Ancora una volta la versatilità si mette in luce come la quintessenza della bevanda. Il Shochu si può gustare liscio o con ghiaccio. Diluito con acqua fredda o calda, mischiato con te oolong o succhi di frutta, o con l’aggiunta di limone, pompelmo, mela o ume.
Risulta quindi adatto a tutte le stagioni ed in virtù della gradazione alcolica non troppo elevata può essere gustato come bevanda da pasto.
Non solo, ma sono proprio le molteplici sfumature che ne caratterizzano i vari tipi a renderlo un perfetto complemento per diversi piatti e diverse cucine.
Come cocktail, nelle sue mille creative versioni, scandisce la vita notturna nei locali alla moda.

Il preferito dalle donne

Ciò che rende davvero unico il boom del Shochu e lo connota come fenomeno di costume è che sono le donne, soprattutto le giovani, a rappresentare la maggioranza della schiera di estimatori.
Risulta infatti che il 60% dei consumatori sono donne tra i 25 ed i 30 anni, senza dubbio le protagoniste nel tracciare lo scenario della moda, dello stile e del costume.

Anche l’occhio vuole la sua parte

Sì, perché ancora una volta l’estetica giapponese si esprime e si distingue nella raffinatezza e ricercatezza del design delle bottiglie dei vari produttori.
…A questo punto… non ci resta che sollevare i bicchieri e brindare! …ma ci raccomandiamo, sempre con moderazione…!

Marcella Bagnoli

Foto in copertina di Christophe Richard su Flickr used under CC

BERE IL SAKE

Bere il sake è un’esperienza che va fatta almeno una volta…ma può essere vissuta molteplici volte scoprendo profumi e sapori sempre diversi!
Esistono infatti vari tipi di sake, mutevoli al palato, che danno il loro meglio a temperature differenti e con abbinamenti di cibi i più particolari.

I tre livelli di temperatura per il sake caldo sono 35°C, 45°C e 55°C anche se il più diffuso è l’“hitohada” (livello pari alla temperatura corporea). Il modo migliore per scaldare il sake è di porlo nel Tokkuri (tradizionale contenitore in ceramica) e immergere questo nell’acqua che si andrà a scaldare: successivamente si verserà nelle coppette denominate “sakazuki” o “choko”.

Questa cultura della ritualità si manifesta particolarmente in antiche cerimonie come la “Kagami Biraki” o la “San-san-ku-do” in cui il sake è protagonista: la Kagami Biraki risale a circa 300 anni fa come cerimonia beneaugurante per una vittoriosa battaglia ed ora vive nel rito di apertura delle botti di sake durante le inaugurazioni di occasioni speciali o sacre.
La San-san-ku-do (letteralmente tre-tre-nove) è invece un rito propiziatorio che si tiene durante i matrimoni Shinto e vede gli sposi intenti in tre assaggi di sake da coppe di diverse dimensioni (un tempo decorate con raffinate immagini rappresentanti il cielo, la terra e l’umanità): il numero tre è di ottimo auspicio in Giappone.

E come non può essere di buon auspicio il sake, una bevanda dalle mille sfumature e il cui bouquet è frutto di secoli di tradizione!

Federica Cecconi

UNA TRADIZIONE SORPRENDENTE: SAKE, LEGNO E…

Un modo antico e al tempo stesso inedito di provare il sake è di berlo dal masu. Il masu è una piccola scatola di legno (viene adoperato il legno di sugi, chiamato volgarmente cedro giapponese, o hinoki, una varietà di cipresso) a base quadrata: originariamente utilizzata come misura di una porzione di riso (la misura standard è di 180 millilitri), venne usata dai produttori di sake per primi come bicchiere per assaggiare i risultati del proprio lavoro e, prodotta con un materiale facilmente reperibile ed economico, si diffuse presto nei sake bar.
Per gli intenditori di oggi forse è preferibile degustare il sake nel vetro scoprendone così in purezza i vari sentori, più fruttati e floreali e meno legnosi di un’epoca in cui il sake veniva lavorato e conservato in recipienti anch’essi in legno; come pure i giapponesi di oggi senz’altro preferiranno la comodità di sorbire il sake dal bicchiere…ma la tradizione del masu non è scomparsa!

Ci si può addirittura imbattere in una sorta di compromesso fra antichi usi e abitudini moderne, per cui il sake viene servito in un bicchiere a sua volta collocato nel masu. Il bicchiere, in segno di ospitalità e accoglienza, viene riempito fino a che il sake non debordi e vada a riempire anche il masu. Si berrà allora tutto il contenuto del bicchiere come pure del masu: quest’ultimo rilascerà per i palati più attenti note di legno.
Esistono poi masu laccati che permettono di concedersi il piacere di assaporare i bouquet dei moderni sake in una scatola che non rilasci profumi, richiamando nell’estetica i tempi andati.

…Sale!

Ma la tradizione vuole che si beva direttamente dal masu e…non abbiamo ancora menzionato un altro protagonista di questo modo di bere il sake…con il sale!
Va posta una presa di sale su un angolo del masu, o meglio giusto accanto ad un angolo, stando bene attenti che il sale non cada nel sake.
E’ un’usanza molto particolare e curiosa: essa ha una valenza simbolica in quanto il sale in Giappone veniva spesso utilizzato nei rituali di purificazione ed è da sempre considerato di buon auspicio. Inoltre il sake un tempo era molto più dolce di oggi e risultava naturale accompagnarlo con alimenti base come il miso o il sale.
Quando si porta alla bocca il masu, il sale tocca solo i lati delle labbra e il gusto predominante rimane quello del sake mentre il sale fa da gradevole contorno. Questo abbinamento stuzzica l’appetito e con l’appetito la voglia di bere….insomma, vale senz’altro la pena assaporare questa esperienza con il sale!

Il taru-zake

Nel masu si serve solitamente un tipico sake barriqato: il “Taru-zake”. Esso è prodotto lasciando riposare il sake due giorni in un contenitore (“taru”) di legno, che gli conferisce un affascinante aroma di legno e resina…aroma che viene esaltato dal sale e dal profumo intenso del masu stesso.
La tendenza a consumare questo tipo di bevanda si sta diffondendo molto, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, in particolare nella avanguardistica New York: il taru-zake è apprezzato da molti soprattutto perché può essere abbinato gradevolmente ad ogni varietà di cibo.
In Giappone viene invece consumato specialmente in occasione dei festeggiamenti per il nuovo anno: fra dicembre e gennaio nelle vetrine è facile vedere in bella mostra contenitori e bottiglie di varie dimensioni di questo sake dal profumo intenso come la terra del Giappone e i suoi elementi.

Federica Cecconi